Gentile Direttore 

da anni abbiamo smesso di credere alle favole di Natale ma mai, come oggi, questo tempo di luci e di attesa ci è apparso svuotato di ogni significato.

Gentile Direttore, a volte, per gioco, o per paura, ci si chiede cosa faremmo se potessimo conoscere la data esatta della nostra morte, cosa faremmo prima, come vorremmo passare quelle ultime ore, e i racconti che ne vengono fuori fanno di ciascuno di noi degli  epicurei capaci di cogliere fino all’ultimo attimo del giorno  fatale, uomini innamorati della vita e capaci di farsi rimpiangere anche solo per quell’ultimo momento di commiato da tutti, i tanti, che fanno da pubblico al saluto finale. Nessuno di noi immaginerebbe mai di morire seduti in un angolo di strada, sotto una pioggia indifferente, tra i passanti che si affrettano e non si voltano, a pochi giorni dal Natale.

Gentile Direttore, questa è la storia di Kurt, un senzatetto che ha avuto come compagna, in vita, e persino nel momento in cui moriva, una cagna di nome Laika, trovata a Roma quando da Vienna era giunto in Italia, scegliendo, poi, i marciapiedi e i sottopassi di Giulianova come casa. Una cagna per cui spesso rinunciava a curarsi, malato di cuore, per la quale è fuggito dall’ospedale quando è stato costretto a ricoverarsi, che ha sempre chiesto gli potesse restare accanto in qualsiasi sua eventuale futura sistemazione, molto promessa, mai ottenuta. Con Laika Kurt spezzava il pane portato dai pochi amici che si occupavano di lui; per lei entrava fiero nei negozi per animali per uscirne con un boccone buono, comprato con i pochi centesimi di elemosina, o con un trasportino che l’accogliesse,  insieme ai suoi cuccioli, quando ce n’è stato bisogno. E se è vero che il valore di un uomo si misura dal modo in cui assiste chi ha più bisogno, Kurt è stato un gran signore. Ma non tutti, si sa, hanno voglia o possono davvero capire, andare oltre quella barriera che ha fatto di Kurt unicamente un uomo perso, un problema da rimuovere con una buona legge anti accattonaggio, per non turbare i turisti corsi in massa per la stagione balneare, sporco simile alle sigarette e alle lattine vuote gettate nel sottopasso della stazione.

Gentile Direttore, Kurt in una casa ci sperava, e un’altra vita la voleva. Non è vero che certe scelte si fanno per volontà, e dirlo per tacitare la coscienza non sazia certo la fame, non copre dal freddo. Quei pochi amici che ieri per Kurt hanno pianto, hanno pianto di rabbia più che di dolore perché Kurt poteva, anzi doveva essere salvato, e tutte le associazioni, le istituzioni cui tante volte si sono rivolti questi cittadini incapaci di girarsi dall’altra parte, ottenendo sempre e solo promesse, sappiano che di Kurt hanno firmato la condanna a morte.

Gentile Direttore, non c’è stata porta di comunità, di Chiesa, di associazione che non abbia ricevuto un appello per Kurt e il suo cane; il Comune conosceva benissimo la situazione, la malattia di Kurt, e ha alzato le spalle; un privato cittadino aveva persino messo a disposizione una roulotte ma si è visto rifiutare l’utilizzo del suolo pubblico; a Kurt, ultimo tra gli ultimi, è stata negata addirittura la possibilità di usufruire delle docce pubbliche presenti negli impianti sportivi, nei giorni di chiusura. E se questo non significa condannare un uomo a morte, negandogli non solo assistenza ma persino la sua dignità di uomo, io, Direttore,  non so davvero cosa sia.

Spesso, il pretesto per abbandonare questo caso di cui nessuno si è voluto occupare, è stato il cane, causa dell’impossibilità di alloggiare Kurt in qualche centro, ovviamente lontano, comunque, dalla città. Ma si può davvero chiedere ad un uomo che non ha nulla di abbandonare quel po’ che lo tiene ancora legato alla vita? Ieri, mentre Kurt moriva c’era Laika, che stretta tra il braccio e la gamba del suo padrone, impediva agli operatori del 118 di portarlo via. C’era Laika che ora lo attende protetta dai soliti amici e che non sa che Kurt giace in una cella frigorifera, aspettando, ancora una volta, che si decida cosa farne di lui.

Questa Direttore, oggi, è la nostra favola di Natale, un Natale che ben ricalca quello che siamo diventati, e  “se non piangi, di che pianger suoli?” A volte la morte sa essere più pietosa di noi, della vita, dello strazio cui ogni giorno assistiamo. Ciò che fa più male è che chi, con così grande menefreghismo, si è rifiutato di aiutare Kurt, non capirà mai di essere responsabile della sua morte. Buon Natale.

Asteria Casadio